Sant’Agata del Bianco domina la Costa dei Gelsomini in uno scenario naturalistico tra mare e montagna. Il piccolo paese è poco considerato dal turismo, ma dimostra un potenziale molto promettente per farsi conoscere.
Terra di antiche tradizioni vinicole, come testimoniano i palmenti che affiorano nella campagna circostante, Sant’Agata del Bianco sta vivendo il suo risorgimento. Ambizione e voglia di riscatto di un piccolo borgo della Calabria. Un’esperienza unica di ricerca delle proprie origini.
Diverse, infatti, le iniziative culturali promosse nel tempo all’insegna della riscoperta della cultura popolare del luogo.
Sant’Agata del Bianco e la street art
Sant’Agata del Bianco trae nuova linfa dalle opere di street art sparse tra i vicoli del centro storico.
Le opere più straordinarie sono dedicate a due personaggi illustri di Sant’Agata, lo scrittore Saverio Strati e il pittore Domenico Bonfà, in arte Fàbon, entrambi nati nel piccolo borgo della locride.
L’autore è lo street artist siciliano Andrea Sposari, conosciuto col nome d’arte Spos.art. L’artista che ho avuto modo di apprezzare nella vicina Precacore (Samo).
I “Cavalli dell’Apocalisse” è il tributo per l’artista Fàbon, mentre “Tibi e Tascia” è il murale dedicato ai personaggi dell’omologo celebre romanzo di Saverio Strati.
Scrittore e pittore furono entrambi molto apprezzati nel ’900, ma la loro memoria è stata trascurata nel tempo, in quanto poco è stato fatto per promuoverne la conoscenza tra le nuove generazioni.
Le opere riportano in questo borgo i due artisti facendoli tornare a vivere nei luoghi dove trascorsero la loro giovinezza.
Anche il murale realizzato in occasione del settecentenario della morte di Dante Alighieri è opera di Andrea Sposari. Dante è rappresentato nel Purgatorio con la mano di Virgilio sulla propria spalla mentre sogna il Paradiso ovvero Beatrice sua musa ispiratrice. Un’opera che si collega con i temi letterari già presenti nel sorprendente borgo, dedicata ai contadini di Sant’Agata che conoscevano e memorizzavano i versi del sommo poeta, a dimostrazione che anche gli uomini meno colti possono tramandare la storia e la verità.
La storia del liberatore
Tra le rappresentazioni pittoriche di Sant’Agata del Bianco ve n’è una che non si distingue certo per l’eccellente fattura, ma che cattura l’attenzione per la storia alla quale è dedicata. Una storia fatta di prepotenze e soprusi. Un fatto di cronaca cruento realmente accaduto.
Il 19 luglio 1661 un pastore di nome Brunello uccise il signorotto locale. Ciò in quanto non accettava che il nobile passasse la prima notte di nozze con la futura moglie in nome di un diritto che gli garantiva la proprietà sulla verginità della ragazza (il diritto della prima notte, jus primae noctis).
Indossati gli abiti della propria moglie, decise di recarsi lui stesso dal sopraffattore che lo trafisse con un coltello e pose fine a questa aberrante consuetudine. Il giovane pastorello fuggì via senza che venisse notato da nessuno e si rifugiò in un’area marginale di Sant’Agata del Bianco, chiamata ancora oggi Contrada Brunello.
Anche Saverio Strati racconta una storia simile nel romanzo “La teda” che ripercorre la storia di Brunello, una storia che lui stesso ha sentito raccontare dagli anziani del paese. “E lo chiamarono: Il Liberatore” scrive l’artista nel suo romanzo alla fine della storia.

La via delle porte pinte
Suggestiva “La via delle porte pinte” dove i portoni delle abitazioni del centro storico di Sant’Agata del Bianco sono decorati con motivi ispirati ai libri dello scrittore Saverio Strati.
Diverse sono le realizzazioni che hanno attratto la mia attenzione come “Ritratto” ispirato all’opera “Piccolo grande Sud”, “Loco” tratto da “L’uomo in fondo al pozzo”, “Il tempo passa” tratto da “Il selvaggio di Santa Venere”, solo per citarne alcune.
Ma Sant’Agata del Bianco non è solo street art. Nonostante i terribili terremoti che hanno distrutto quasi completamente le tracce del suo passato, sopravvivono alcuni elementi architettonici di sicuro interesse come, per esempio, la Chiesa di Sant’Agata, i ruderi del Palazzo baronale e il Palazzo dei Borgia dove si tenevano le riunioni degli eroi dei moti risorgimentali di questa zona.
L’artista rupestre di Sant’Agata del Bianco
L’offerta culturale di Sant’Agata del Bianco non si esaurisce qui. A due passi dal centro abitato c’è un luogo magico; un podere privato dal fascino indiscusso.
Tra alberi di ulivi e un paesaggio dominato dal Monte Scapparrone e dalla “montagna blu d’Aspromonte”, come definita da Edward Lear nel suo “Diario di un viaggio a piedi”, un masso di pietra prende forma ed espressione. In realtà, più di una.
Escono come per un prodigio figure di pregevole fattura. L’artista che manovra lo scalpello è Vincenzo, bracciante agricolo dall’estro creativo e talentuoso.
È così che sotto le sue abili mani nascono, scaglia dopo scaglia, il “Cavallo di Troia“, il “Piede di Polifemo“, la “Natività di Gesù” all’interno della grotta, “Orfeo ed Euridice” che si stringono in un ultimo abbraccio e, soprattutto, le “Sirene Dormienti“.
Le meravigliose creature trovano refrigerio nell’acqua accumulatasi nelle vasche di quello che sembra essere un antico palmento. Le sirene sono esauste dopo aver risalito la fiumara La Verde per sottrarsi alle ire di Poseidone. Così vuole una leggenda narrata dal sindaco di Sant’Agata del Bianco, guida d’eccezione.
Volevano raggiungere il meraviglioso giardino di Campolico facendo perdere le loro tracce. Si trovarono così esauste di forze, così spossate per la fatica della risalita che si dovettero abbandonare alla morte nelle acque meteoriche raccolte nel palmento.
Fu allora che un Dio benevolo, impietositosi, le trasformò in roccia affinché il loro sacrificio fosse ricordato per tutta l’eternità. Una storia struggente che impreziosisce ancora di più l’opera dell’artista rupestre di Sant’Agata del Bianco.
Archeologia vitinicola e rupestre VS Arte contemporanea
Ora corre l’obbligo morale di definire l’operazione eseguita sul palmento. Si tratta veramente di un intervento artistico o, piuttosto, va definito come un atto vandalico? Si tratta di sculture realizzate su una roccia che madre natura ci ha regalato o la roccia stessa va considerata un gioiello d’arte per la presenza delle due vasche, testimonianza di un’antica produzione vinaria della Locride?
Con le mie competenze non riesco certo a fornire risposta a questi interrogativi. Posso solo analizzare quanto visto. Le sculture sono create, come detto, su una grande roccia che sorge in un podere privato. Un’opera è realizzata nella cavità naturale della roccia, altre sulla superficie esterna lontane dalle vasche del palmento. Solo una, sicuramente la più rappresentativa dell’estro dell’autore, interessa la parte superiore della vasca del palmento, le “Sirene dormienti”.
Il web, poi, è pieno di parole d’elogio e di sentito entusiasmo per l’artista. Giudizi espressi anche da testate giornalistiche locali che ben conoscono il territorio.
Va altresì precisato che la roccia che ospita il palmento in esame è stata nel corso dei secoli danneggiata, come mi illustra il sindaco del Borgo, sia per ricavarne della pietra sia per mettere in sicurezza il fondo agricolo da eventi alluvionali. Interventi, peraltro eseguiti prima dell’arrivo del Maestro Vincenzo

Conclusioni
Ma allora, questo palmento può essere classificato un pezzo di archeologia vitinicola rupestre? Se la risposta è affermativa mi sorge spontanea un’altra domanda. Perché le amministrazioni competenti non l’hanno tutelato?
Io posso solo affermare che visitando Sant’Agata del Bianco mi sono trovato di fronte ad una realtà sapientemente “rispolverata” dall’amministrazione comunale. Un’attività che ha saputo far risorgere personaggi illustri del passato e far apprezzare artisti locali sinora sconosciuti.
Che dire di Vincenzo? Il suo talento non può certo essere messo in discussione; al contrario va incoraggiato e coltivato. È sufficiente ammirare le sue opere che recano una ricchezza di dettagli e denotano una maestria artistica invidiabile ai più noti scultori.
Possiamo considerare questo un luogo dove l’arte incontra la storia? Dove l’intervento dell’artista costituisce un vero e proprio tributo alle capacità creative dell’uomo, antico e moderno? In effetti, non si tratta di un banale graffito realizzato a sfregio della struttura.
D’altro canto, non vengono ora apprezzate le impressioni millenarie incise sui muri della fortezza di Sigiriya (Sri Lanka) da parte dei numerosi visitatori succedutisi nel tempo?
Il futuro ci illuminerà e sarà istruttivo per tutti.
2 Comments
Mi piace molto l’idea di istoriare le porte come fossero una rassegna di libri, e poi io lo trovo un dualismo perfetto: il libro è esattamente come una porta, e una porta è esattamente come un libro. Entrambi possono essere dischiusi su mille storie. Chissà da dove trae origine la passione dei contadini per i versi di Dante? Sono molto curiosa. E poi Borgia, i moti risorgimentali, altro che raccontare la storia attraverso le mura, questo posto meriterebbe un nuovo “Liberatore”… ma un cavaliere che lo liberi dall’ombra e che lo riporti alla luce. La leggenda narra di un cavaliere in sella alla sua imponente e poderosa cavalcatura di nome El Andador, tu l’hai incontrato tra i vicoli di Sant’Agata? 😛
Hai ragione, porta e libro offrono un accesso alla conoscenza delle tante storie che possono raccontare. E le porte di questo Borgo hanno molto da rivelare. Storie di moti rivoluzionari, di briganti, di artisti e di gente semplice che amava trasmettere di bocca in bocca le testimonianze del passato, ivi compresi i versi di Dante. Una tradizione, questa, molto diffusa fino a non molti anni fa e ora non più in voga. D’altro canto, ancora oggi usiamo dei “modi di dire alla Dante”; mi viene in mente “il Bel Paese”, “lasciate ogni speranza voi ch’entrate”, “galeotto fu” e ancora “non mi tange” (quest’ultima espressione molto usata dal sottoscritto). Il cavaliere errante? Si, si l’ho avvistato